Commento al capitolo "Dottore, si spogli..." di S. Catania
di Paolo Veronesi'
Chirurgo presso la divisione di senologia dell'Istituto Europeo di Oncologia di Milano. Membro del Comitato
Scientifico di Attivecomeprima.
Il nome di Ada Burrone e dell'Associazione Attivecomeprima ricorre nella mia mente sin da quando, ancora ragazzino,
ne sentivo parlare da mio padre. Allora ovviamente non comprendevo completamente il significato e gli scopi di questa
Associazione, anche se ne intuivo l'importanza per le donne operate al seno. Col passare degli anni, iniziando
l'attività di chirurgo e dedicando l'attenzione in particolare alla patologia della mammella, il problema vissuto dalle
donne operate al seno sia in termini di problematiche strettamente oncologiche sia in termini di difficoltà a superare
l'episodio dal punto di vista psicologico e di reinserimento nell'attività quotidiana èdiventato un mio problema.
Le pazienti operate, superata l'emozione dell'intervento chirurgico, manifestano un malessere ingravescente, che assume
spesso le caratteristiche di una vera sindrome depressiva e che col passare del tempo e con l'acquisizione di una sempre
maggior sicurezza in termini di guarigione oncologica finisce per diventare l'elemento patologico dominante.
Le assicurazioni ed i consigli del medico oncologo, che entra in contatto diretto con la paziente due o tre volte l'anno
per pochi minuti, anche se utili, non sono in grado di sollevare la paziente da questo malessere. Per la verità, inoltre,
l'oncologo è solitamente troppo impegnato a vagliare i risultati degli accertamenti e dell'esame clinico e trascura spesso
di parlare con la paziente ed i famigliari.
Lo scritto dell'amico Salvo, come sempre di piacevole ed immediata lettura, ben evidenzia questo problema.
In poche pagine ci mostra come lui affronta il problema della comunicazione con la paziente malata di cancro al seno.
Curiosamente, le frasi che riporta sono spesso le stesse che amo utilizzare io stesso, a dimostrazione di come, senza saperlo,
l'affetto per le proprie pazienti porti ad avere comportamenti simili a tal punto da pronunciare le stesse parole.
In particolare, oltre all'aspetto conoscitivo della situazione sociofamigliare della paziente, grossa importanza,
come sottolinea Salvo, ha il modo di comunicare la diagnosi. Come io stesso ho avuto modo di imparare da mio padre,
è meglio essere pessimisti sulla "Diagnosi" di tumore, per non ingenerare false illusioni con le tipiche frasi
"dobbiamo fare la biopsia, non sappiamo ancora di cosa si tratta" e così via, mentre dobbiamo comunicare ottimismo per
quanto riguarda la "prognosi", in modo da spingere la paziente ad affrontare la malattia con energia, con la consapevolezza
che può e deve guarire.
|